giovedì, Settembre 12, 2024
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La Sindrome di Stendhal

La vertigine del fruitore (di bellezza)

Se diamo una forma agli spiriti, diventiamo indipendenti

Pablo Picasso

Far rivivere opere. Non lasciare che restino sui muri, a parlare in silenzio. Nel buio. Dargli voce. Una voce potente che si fa corpo, che si fa domanda. Questa è la sfida per nuovi progetti delle Arti visive. Organizzare una mostra non basta più. Visitare un museo o una mostra, soprattutto all’opening, spesso solo fra addetti ai lavori, non basta più. I quadri, dipinti o fotografie, le sculture, le installazioni, restano alle pareti, mute e sole, osservando noi che chiacchieriamo col bicchiere in mano, vagando distratti e distanti; le opere restano sospese al chiodo e non riescono a parlarci, non le ascoltiamo veramente. Quindi, non ascoltiamo realmente noi stessi…l’arte contemporanea oggi, sembra soltanto alimentare il cosiddetto “sistema dell’arte”, in una corsa folle e autoreferenziale a farne parte, trovando forme-spettacolo che risuonano come campane rotte.

E il fruitore, tema centrale nella comunicazione dell’arte, sia essa del passato o contemporanea sembra non esistere più. La comunicazione è spezzata, perché l’arte, il nostro specchio emotivo, non si interroga più. Ha perso la sua funzione, “magica” e rituale, divenendo spesso pura didascalia del presente. Non va “oltre”, non schiude davvero visioni possibili, come mondi paralleli e potenti. L’arte di tutti i tempi, la grande bellezza di cui siamo circondati ormai “consumandola”, questo dovrebbe essere, un patrimonio inesauribile di possibili risposte che dal passato si rende presente e attuale e sfida il fruitore, lo accompagna e lo stimola nelle sue domande, che ogni giorno seppellisce dentro, preso da una quotidianità che non fa più vedere, né ascoltare, una quotidianità che restringe i nostri sensi e li riduce a piccole tracce utili solo alla sopravvivenza dell’immediato.

Allora c’è bisogno di amplificare. Tutto. Le immagini. I nostri 5 sensi (o 6). Il Tempo e con esso le possibilità.

Sindrome di Stendhal – La vertigine del fruitore (di bellezza)

Cosa ci rende davvero felici? Io credo che la risposta sia essere interi. Per sopravvivere o forse solo per costrizioni e convenzioni il disagio maggiore (nel senso di contrario del benessere) è quello di essere frammentati. Il corpo, da una parte, che viene relegato ai margini a favore di contenuti mentali, prodotti quasi nell’immobilità (le nostre case, la costrizione e costruzione delle nostre quotidianità, la nostra stessa cultura) e le nostre emozioni, che accompagnano, sempre, le nostre esperienze e che, forse poveri di memoria ed immaginario, non riusciamo più a codificare, né a gestire.

L’arte serve a renderci più felici? Andare a guardare e contemplare un’opera d’arte, se è davvero arte, in una mostra ma anche e soprattutto in un museo può essere un’esperienza dei sensi che porta verso quell’essere “interi”, appartenere di nuovo a se stessi attraverso la bellezza.

L’arte, dunque, per il solo fatto di rappresentare una forma visiva, di un contenuto, di un tempo o di un episodio, può essere di supporto e fare quasi da “punto di appoggio” per i nostri dubbi, le domande e le emozioni in genere, che a volte facciamo una grande fatica a riconoscere a “dargli nome”. L’arte visiva, può diventare così la nostra “educazione sentimentale”.

Sindrome di Stendhal – La vertigine del fruitore (di bellezza)

I musei, o in generale i luoghi espositivi, ma anche il teatro o il cinema, sono luoghi del sacro, in quanto, varcandone la soglia, noi spettatori – fruitori entriamo in una dimensione extra-quotidiana, dove lasciamo fuori o portiamo il nostro bagaglio di esperienze e di storia, il nostro vissuto, per “confonderlo” fra gli oggetti e vivere un’esperienza estatica-estetica che in qualche modo lo tras-formi, facendocelo vedere in modo differente. Così anche il nostro corpo, immerso nell’esperienza, diviene, anche senza accorgercene, un corpo “altro”.

Ne viene in qualche modo attratto, catturato. E se il fruitore/spettatore riesce ad entrare in contatto con l’oggetto-opera, egli “entra” in qualche modo nel lavoro, ne diventa parte entrando così in una trama, un racconto continuo che viene da lontano ma che però lo riguarda.

La narrazione, cioè diviene trama aperta e sensibile che facilita il dialogo dello spettatore- fruitore con l’opera scelta e dunque, con parti di sé.

Sindrome di Stendhal – La vertigine del fruitore (di bellezza)
Museo del Novecento – foto di Beatrice Salvatore

Oggi si cerca molto poco per esempio entrando in un museo. Almeno nei Musei italiani. Forse di vedere pezzi “famosi” o di dire semplicemente di esserci stati. Si perde, così, il senso della scoperta. Non siamo più fruitori (nel senso di parte attiva nel dialogo con l’opera) ma “consumatori”. Io credo sia necessario ritrovare raccoglimento. Parola bellissima e dimenticata che allude al “raccogliersi”, prendersi in mano, riunirsi…

La mia esperienza personale quando entro in un museo è di percezione amplificata di tutto, del mio udito, della vista che diventa più ampia, del mio corpo stesso e anche del tempo, che rallenta e contemporaneamente sembra concentrarsi nel presente, nel qui e ora, insieme al mio corpo…

La vista è sicuramente il senso privilegiato, quando si è davanti ad un’opera. Il fruitore guarda il quadro, ma non sempre vede. Spesso è distratto e la visione lo attraversa senza lasciare nulla…Imparare a vedere quello che c’è intorno a noi ci aiuta a scoprire nuove impensabili risorse. Aprire gli occhi serve ad allargare le maglie della realtà per dialogare con essa, il lavoro è sulle nostre percezioni e deve coinvolgere tutti i sensi.

Nell’incontro può iniziare quella che ho chiamato l’esperienza estetica. Simile all’incanto, blocca il corpo nell’istante. Questo accadimento può essere amplificato e reso maggiormente consapevole, cosicché anche il corpo, il respiro (così “bloccato” e frenato nella nostra vita quotidiana), possano finalmente partecipare all’esperienza di conoscenza, in modo totale e non frammentato.

Sindrome di Stendhal – La vertigine del fruitore (di bellezza)
Una sala del Museo Madre di Napoli – foto di Beatrice Salvatore

L’ esperienza della fruizione è, dunque movimento di dialogo e relazione vera e propria, da percorrere, interrogare, cui abbandonarsi, totalmente, anche rendendo partecipe il corpo. Non è e non deve essere un’esperienza, mentale, intellettuale, e soprattutto passiva, ma totale. Che ne avvolge i sensi e ci conduce verso una strada di unità, dove corpo, mente ed emozioni siano un flusso continuo e non spezzato perché attraverso il corpo si è messo in moto un meraviglioso meccanismo di associazioni e assonanze: quell’oggetto era messo come…quel colore mi ricordava, quel gesto era di…ma allora…e un’esperienza che poi chiede di essere digerita e diventare quotidiana.

Il fruitore lascia, poi, forse, chiavi di lettura scontate, poco creative, rigide, che non gli servono più…

Nell’estasi, il corpo si muove talmente in fretta che resta immobile. Questo nell’estasi mistica come nell’estasi della contemplazione di un’opera d’arte.

Fabrizio De André

Beatrice Salvatore
Beatrice Salvatore
È critico d’arte e curatore indipendente. Porta avanti un'idea di "curatore", come mediatore sociale tra artista, opere e fruitore, promuovendo l'importanza e la necessità dell'arte come dispositivo di crescita e cambiamento. Si occupa di ricerca e scrittura su temi artistici e antropologici che presenta anche in conferenze e seminari. Si è occupata di didattica dell'Arte e delle possibili relazioni tra le arti visive e il sociale. È un Counselor ad orientamento Gestaltico. Ha collaborato come corrispondente e redattrice con la rivista di arte contemporanea Tema Celeste e collabora con la rivista Espoarte. Dal 2003 al 2008 ha collaborato alla realizzazione delle mostre "Le Opere e i Giorni" e "Fresco Bosco", a cura di Achille Bonito Oliva. Ha curato progetti e diverse mostre di cui ha scritto i testi critici in catalogo e ha inoltre recentemente pubblicato sul tema della violenza di genere "La scena rovesciata". Il racconto della violenza (e del dolore) nell'arte femminile (come restituzione del Sé) e l’articolo dal titolo "L’arte è Trans" sul rapporto tra arte e genere, per la rivista scientifica “La camera blu”. Per l'Università di Salerno, ha pubblicato il saggio "Frammenti di arte contemporanea: dal corpo erotico al corpo post-umano", apparso nel volume “Il corpo e il suo doppio” a cura di Maria Rosaria Pelizzari, edito da Rubbettino. Ha vissuto a Londra, Milano e Napoli.

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